Relazione Convegno MONTAGNA E MEDICINA: DELICATE SINERGIE

MONTAGNA E MEDICINA: DELICATE SINERGIE
Trento 4 – 5      maggio 2018

 

 

Dopo 10 anni di fattiva collaborazione tra Film Festival di Trento, Società Italiana di Medicina di Montagna e Commissione Centrale Medica del CAI venerdì 4 maggio 2018 presso il Palazzo Geremia nel centro di Trento si é deciso di organizzare un importante evento per ricordare questo importante anniversario.
Dopo l’assemblea della Società Italiana di Medicina di Montagna, ha avuto inizio alle ore 15 la decima edizione dell’evento che il Film Festival di Trento dedica alla medicina di montagna.
Antonella Bergamo che da anni tiene i contatti con l’organizzazione del Festival ha voluto ripercorrere tutte le varie edizioni del convegno. In tutti questi anni si é parlato di disabilità, dell’uso dei farmaci, di doping, di alimentazione, di atleti, di trapiantati d’organo, di sicurezza, di medicina di spedizione, di gare di Trail e Ultratrial, di soccorso in montagna, di gravi incidenti, di soccorsi e di soccorritori, di psicologia. Il tutto in rapporto al mondo della montagna. In tutti questi anni si sono avvicendati medici, ricercatori, alpinisti, giuristi, soccorritori, guide alpine ed altri personaggi legati al mondo della medicina di montagna. Nel 2016 é anche stato organizzato un corso base di medicina di montagna per medici.
Giancelso Agazzi ha, poi, preso la parola per presentare una relazione dal titolo “La Guerra Bianca in Adamello 1915-18: una delle origini della Medicina di Montagna”. Il relatore ha voluto vedere nella tragicità di una guerra combattuta in un ambiente impervio a oltre 3000 metri di quota alcuni aspetti positivi dovuti ai passi avanti che la medicina in quegli anni ha fatto. In particolare la chirurgia e la traumatologia hanno fatto notevoli passi avanti, oltre all’anestesia e alla radiologia. La medicina di emergenza ha avuto modo di sperimentare nuove tecniche e procedure. Il “triage” é stato adottato sui campi di battaglia nel valutare le condizioni dei feriti. Pure la logistica é cresciuta con teleferiche e slitte trainate da asini, cani e a volte muli per trasportare materiali vari, cibo, munizioni, farmaci e presidi sanitari e materiale da costruzione. Molte strade sono state costruite in montagna. Con l’avvento della Grande Guerra migliaia di soldati e animali hanno popolato le montagne prima completamente deserte. I medici militari hanno dovuto curare gli aspetti sanitari di tutta quella gente che era andata a vivere in alta quota, ivi compresi mal di montagna, ipotermia, congelamenti, oltre naturalmente a ferite, fratture, traumi vari. Il nemico numero uno a quelle quote era la montagna.
Marco Zanobio delle Società Italiana di Storia della Medicina ha voluto ricordare la figura di Giuseppe Carcano, il capitano medico che per tutta la Guerra Bianca ha diretto l’Infermeria Davide Carcano posta presso il villaggio militare che si trovava nella conca del Venerocolo, ove, ora sorge il Rifugio Garibaldi in alta Val d’Avio. “medico di anime e di corpi” come qualcuno lo aveva definito. Un uomo che stava vicino agli alpini, che molto ha fatto per far crescere la medicina di emergenza in montagna, inventando tecniche nuove e procedure nuove. A lui il merito di aver inventato le barelle montate su sci, che rendevano più facile e veloce il trasporto di morti e feriti sui ghiacciai dell’Adamello. Con l’aiuto del generale Ronchi Carcano ebbe l’idea geniale di costruire l’Infermeria dedicata a suo padre Davide, garibaldino a Bezzecca, che poteva ospitare fino a 150 soldati feriti. Prima della Grande Guerra Carcano fu ufficiale medico in Libia e, poi, nel corso della Seconda Guerra Mondiale con il grado di Maggiore Medico prestò servizio presso l’Ospedale Militare di Milano.
Lorenza Pratali, cardiologa ricercatrice del Cnr di Pisa e Presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna ha, poi, parlato delle ricerche svolte dal Cnr in alta quota, ovvero il ruolo del Cnr nella ricerca in altitudine e in ambienti estremi. Pratali ha voluto ricordare la figura del Prof. Maseri, cardiologo di fama internazionale, che negli anni ’70 ha promosso la ricerca in alta montagna. Lorenza Pratali ha condotto degli studi in Nepal per studiare il danno causato dall’inquinamento causato dal fumo nelle abitazioni delle popolazioni residenti nelle montagne himalayane, che vivono in abitazioni poco ventilate, prive di camino. Pratali ha parlato anche dell’utilizzo nelle zone alpine della Telemedicina, descrivendo il progetto europeo E-res@mont realizzato con l’Ambulatorio di Medicina di Montagna dell’Ospedale di Aosta. Il Cnr di Pisa collabora ormai da sei anni con L’ambulatorio di Medicina di Montagna di Aosta. Pure in Nepal é stato realizzato il primo teleconsulto. Attualmente é in corso uno studio per valutare la riserva contrattile in soggetti affetti da cardiopatia coronarica in condizioni di normossia e ipossia simulata. La ricerca in alta quota necessita di alto rigore scientifico, come sottolineato da Hermann Brugger in una sua recente pubblicazione.

Giuliano Brunori, primario del reparto di Nefrologia dell’ospedale di Trento é, poi, intervenuto con una presentazione dal titolo “Il trapianto e la Montagna: fine dei giochi?”. Il relatore ha fatto presente che il primo trapianto di rene fu effettuato da Joseph E. Murray (1919-2012), premio Nobel per la medicina nel 1990. Il 1962 avvenne il trapianto da cadavere a donatore. In letteratura esistono 6600 lavori scientifici che parlano di attività fisica e trapiantati di rene. L’attività fisica rappresenta uno dei più semplici interventi non farmacologici in grado di aiutare i trapiantati di rene. La camminata costituisce un grande aiuto per questi soggetti. I soggetti dializzati sono estremamente catabolici, con grande consumo di masse muscolari. Dopo il trapianto le masse muscolari vengono recuperate, e le condizioni di normalità si ristabiliscono poco alla volta, con il passaggio ad una normale attività biologica. Con la pratica dell’attività fisica si stabilisce una migliore riperfusione del rene. I soggetti trapiantati sono più soggetti a malattie cardiovascolari a causa dell’utilizzo dei farmaci anti-rigetto. Questi ultimi provocano vasocostrizione. Possono andare incontro a dislipidemia, ipertensione arteriosa, obesità e diabete. Brunori ha citato il caso di un ragazzo di 15, trapiantato di fegato e rene, che pratica alpinismo e sci-alpinismo anche a quote superiori ai 4000 metri. I trapiantati di rene possono, quindi, frequentare la montagna. Un gruppo di trapiantati di rene ha effettuato un trekking nel deserto. Importante é effettuare una corretta idratazione e non eccedere nello sforzo per non danneggiare il rene, evitando di sudare troppo.
Il cardiologo Andrea Ponchia di Padova é, poi, intervenuto per parlare dei cardiopatici in montagna. La sua relazione aveva titolo “Cardiopatici e Montagna: al cuor non si comanda?”. Ponchia ha parlato di montagna e cuore e delle modificazioni cui va incontro l’apparato cardiovascolare va incontro quando si sale in quota. La montagna é ormai riconosciuta come un luogo di riabilitazione. Fino a 1500 metri non ci sono controindicazioni per i cardiopatici purché in compenso. Salendo in quota il flusso sanguigno coronarico aumenta a causa di un processo di vasodilatazione. In altitudine compaiono, però, fattori che possono generare stress per l’attivazione simpato-adrenalinica, causando un certo rischio coronarico. Ponchia ha citato uno studio effettuato su maschi di oltre 40 anni di età per valutare le morti improvvise in montagna. Si é registrato un caso su 780.000 soggetti. E’ opportuno per i cardiopatici evitare il freddo intenso e l’esercizio troppo intenso. Attualmente esistono delle linee-guida per i cardiopatici in montagna utili per dare consigli efficaci. La frequenza cardiaca non deve superare certi valori. Il cardiopatico deve avere una giusta percezione della fatica. Deve essere attentamente valutato da un cardiologo. Che sappia dare giuste indicazioni. Dopo una rivascolarizzazione devono trascorerre almeno sei mesi prima di ritornare in montagna.
A questo punto sono intervenuti Marco Cavana, medico anestesista-rianimatore di Trento e l’alpinista Hervé Barmasse. I due hanno parlato di “Alpinista: limiti fisici e battaglia con il proprio corpo”. E’ stata una bella chiacchierata considerando la montagna vista da un medico e da un alpinista. Cavana ha parlato di come il medico si deve rapportare al paziente, dei contati tra medicina e montagna, e tra la montagna e l’alpinista. Ha parlato della storia del paziente, dell’anamnesi. Occorre guardare il malato e non la malattia. La salita é una risorsa utile ad aiutare la vita di tutti i giorni. Si tratta di una condizione di equilibrio tra soggetto e ambiente. La montagna rappresenta un importante contatto “terapeutico”. La medicina può rappresentare uno strumento di conoscenza, di educazione e comprensione del limite, un crocevia. Un’unica e mobile dimensione di salute.
Hervé Barmasse ha, invece, parlato della collaborazione tra medicina, alta montagna, atleta e salire. Ha affermato che anche il “fuoriclasse” ha bisogno del medico. Alla base di tutto ci sta il rapporto e la sensibilità della persona. La medicina é un’occasione per approcciarsi alla montagna in modo diverso.