Si è svolto a Lucca, presso l’Associazione Amici del Cuore, dal 30 settembre al 1 ottobre 2016 il XVIII° Congresso Nazionale della Società Italiana di medicina di Montagna.
Dopo il saluto delle autorità, G. Giardini, presidente della S.I.Me.M., ha fatto gli onori di casa ai congressisti.
Ha sottolineato che in Europa circa 100 milioni di persone vivono in quota. In Valle d’Aosta, per esempio, ogni anno arrivano due milioni e mezzo di turisti e molte sono le persone che, nella regione, lavorano o vivono in montagna. Ha parlato della necessità di fare prevenzione per evitare le patologie acute che possano colpire i frequentatori della montagna (come infarto del miocardio, ictus, ecc.). Ha sottolineato come la sanità in montagna abbia un costo maggiore e come solitamente si giunga più tardivamente alla formulazione di una diagnosi nelle zone geograficamente isolate. Infine ha invitato l’onorevole Mariani, presente in sala, rappresentante del Gruppo dei Parlamentari Amici della Montagna, a fare una legge che si occupi della telemedicina in Italia, come già esiste in Francia dal 2009. Anche il dottor L. Festi, presidente della Commissione Centrale Medica del CAI, ha voluto far presente l’importanza di occuparsi dei problemi medico-sociali delle popolazioni della montagna in Italia.
E’ quindi iniziata la prima sessione del convegno, moderata dal dottor H. Brugger dell’EURAC di Bolzano. Il primo intervento è stato quello della dottoressa L. Pratali, cardiologa del Cnr di Pisa, che ha parlato delle nuove linee guida per la Rianimazione Cardiorespiratoria. La relatrice ha illustrato come gestire i soccorsi e come addestrare i “laici”. Inoltre ha illustrato come attivare il sistema di emergenza e l’EMS tramite il telefono cellulare. Pratali ha ricordato che esistono programmi PAD in Italia per i “laici”.Ha citato il progetto messo in atto in Alta Valtellina presso i Rifugi Casati e Pizzini, dove è stato installato un defibrillatore portatile grazie alla donazione del “Memorial Chicco Longo” . Ha ricordato il caso di una persona che, a seguito di un attacco cardiaco, è stata rianimata e defibrillata, purtroppo senza successo. Pratali ha , poi, illustrato le varie procedure da seguire per praticare la RCP di un paziente in arresto cardio-respiratorio. Ha fatto notare l’importanza del massaggio cardiaco, che deve essere efficace, quindi, ben fatto. Infine ha proiettato e commentato l’Algoritmo previsto per il BLS.
Il dottor Strapazzon dell’istituto di ricerca EURAC di Bolzano ha parlato delle nuove linee guida per i pazienti ipotermici travolti da valanga. E’ considerato ipotermico un soggetto che presenta una temperatura corporea inferiore a 35°C. Strapazzon ha evidenziato l’importanza della tempestività dell’intervento in un incidente da valanga. Ha mostrato e commentato la recente “check list” messa a punto dalla Commissione Medica dell’IKAR, molto utile nell’indicare le procedure da seguire negli incidenti causati dalle valanghe. Va evitato l’”after drop” e va praticata una rianimazione continua del corpo della vittima, oppure una rianimazione di tipo intermittente, se le condizioni lo richiedono.
G.C. Agazzi invece ha parlato delle linee guida da seguire in caso di folgorazione in montagna ( fulmine). Ha parlato in generale dei fulmini, della loro epidemiologia, di come colpiscono l’uomo o gli animali, di come si deve soccorrere una vittima di fulmine in montagna. Il fulmine può causare danni soprattutto all’apparato cardo-respiratorio, al sistema nervoso, alla pelle, all’orecchio, e all’occhio. Ha parlato di come effettuare il “triage” in caso di folgorazione e di come gestire i soccorsi, cercando di salvaguardare il più possibile i soccorritori, a loro volta possibili bersagli di un fulmine. La vittima deve essere bene ossigenata, monitorata nelle sue varie funzioni vitali, mantenuta isolata dal terreno. Gli indumenti umidi o bagnati vanno rimossi subito dal corpo. Fondamentale, in caso di folgorazione, la rianimazione cardio-respiratoria che può durare molto tempo. Molta importanza hanno la prevenzione e la conoscenza delle condizioni meteo, evitando le ore calde del pomeriggio d’estate.
A conclusione della sessione il dottor Brugger ha, poi, parlato dell’ “Extreme Environment Simulator” che verrà realizzato presso la sede dell’EURAC a Bolzano nel 2018. Si tratta di un grosso progetto che permetterà di studiare situazioni ambientali estreme in cui si possono trovare gli alpinisti. Si potranno studiare i danni causati dal freddo, dal vento, dall’umidità, dal caldo e dalla carenza di ossigeno sull’organismo umano.
Dopo il “working lunch”, G. Strapazzon ha ripreso i lavori della seconda sessione del congresso, moderata da L. Festi, con una presentazione dedicata al soccorso in canyoning. Strapazzon ha parlato della sicurezza, dell’epidemiologia, della prevenzione dell’ipotermia e non solo. Ha fatto presente che gli interventi di soccorso in grotta superano in genere le quattro ore e necessitano di appositi “device”.
Il medico dell’emergenza G.M. Sasso ha , poi, parlato della traumatologia riguardante gli sport di montagna, affermando che , a seguito dell’evoluzione tecnologica dei materiali utilizzati, anche la tipologia dei traumi è molto cambiata. Si è registrata, infatti, una diminuzione di alcuni traumatismi. Per esempio i nuovi modelli di sci, più facili da usare, ma più veloci, hanno portato a una maggiore velocità, anche se ad una maggior facilità di conduzione. Si è registrato un incremento dei traumi della colonna vertebrale.
E’ seguita una presentazione di M. Stella, ortopedico e medico militare del Centro Sportivo dell’Esercito, Sezione Sport Invernali di Courmayeur (Ao), che ha parlato di traumatologia dell’alpinismo e dell’arrampicata libera.
Roi, medico dell’ Istituto Isokinetic di Bologna, ha parlato della traumatologia degli sport estremi di montagna: Skyrunning, Trail e Ultratrail, tutti sport abbastanza nuovi e che hanno avuto una grande diffusione. Le gare di skyrunning hanno una durata di 6-8 ore, di basano sulla velocità e vanno in quota. Sono soggette a ipotermia, con una maggiore incidenza di traumatismi nel corso della discesa. Le gare di Ultratrail, invece, si fondano sul concetto voler verificare il limite di durata e di resistenza di ogni atleta. I problemi collaterali sono rappresentati da disturbi gastroenterici, iponatremia ( diminuzione del sodio ematico), ipotermia e, a volte, depressione. I problemi traumatologici sono più legati al sovraccarico funzionale. A volte gli atleti, in genere i non professionisti, tendono ad assumere in discesa posizioni distorte in grado di causare problemi fisici. Quindi risulta opportuno prestare molta attenzione alla fase di discesa della gara onde evitare conseguenze. L’epidemiologia dei traumi riportati è abbastanza scarsa in letteratura. In genere si nota che le distorsioni di caviglia, abbastanza frequenti, sono legate ad una instabilità di base dell’articolazione in oggetto. Frequenti le contusioni e le escoriazioni, di solito prive di conseguenze. Uno studio effettuato su 38 gare e su 1665 atleti ha rilevato una percentuale di atleti ritirati tra lo 0.5 e 2%, pari a 9,6 partecipanti ritirati su un totale di mille atleti, 3.2 ogni mille ore di gara. Fondamentale la costanza dell’allenamento, un importante fattore di sicurezza. La maggior parte delle cadute avviene in discesa. Roi ha sottolineato l’importanza dei cancelli che costituiscono un fattore di sicurezza, in grado di fermare gli atleti che non sono in grado di continuare. Roi ha posto la domanda:” competitive running at high altitude: is it safe?”. Un altro studio fatto su 43 atleti che hanno partecipato agli Ultratrail, ha rilevato che 36 (82%)hanno riportato un infortunio nel corso della gara, dovuto al sovraccarico. Molti atleti soffrono, a lungo andare, di problemi al rachide Al “Tor des Géants”, una gara di ultratrail lunga 330 chilometri, con 24.000 metri di dislivello, su 706 partenti, 385 sono arrivati alla fine della gara (56%). Si sono verificati tre ritiri per distorsione di caviglia, due traumi cranici (uno deceduto), due lussazioni di spalla, due meniscopatie, un politrauma, una frattura di omero, e un trauma toracico. Infine è stato visto un trauma oculare alla cornea, dovuto ad eventi atmosferici. Tra gli eventi fatali, nel corso degli anni durante gli ultratrail si sono registrati alcuni incidenti: dieci attacchi cardiaci ( 31%), nove episodi di ipotermia ( 28%), sette politraumi dovuti a caduta ( 22%), traumi associati a ipotermia (26%), un caso di folgorazione (3%), un’emorragia (3%), un colpo di calore ( 3%). Vanno valutati i fattori di rischio: alimentazione, attrezzatura, idratazione, allenamento, visita medico-sportiva. Il rispetto di codesti fattori rappresenta una certa garanzia per la sicurezza e la salute di ogni atleta. Sono stati segnalati due colpi di sonno in atleti durante un Ultratrail nel 2016.
Bassi ha, poi, parlato della gestione del dolore, passando in rassegna i vari farmaci antidolorifici, descrivendone le varie indicazioni terapeutiche.
SABATO 1 ottobre ha avuto luogo la seconda parte del Congresso, con due nuove sessioni, moderate rispettivamente da E. Picano, e C. Reggiani, e da C. Angelini e V. Veratti.
Prima é stata la relazione del fisiologo Reggiani di Padova che ha parlato della fisiologia del muscolo scheletrico in ipossia acuta e cronica. Ha parlato del “paradosso del lattato”, che diminuisce salendo in alta quota. Il muscolo perde capacità ossidativa salendo in altitudine, con accumulo di radicali liberi. Secondo gli studi di P. Cerretelli il numero di mitocondri diminuisce se si sale in alta quota. Il muscolo va incontro ad atrofia e si verifica un accumulo di lipofuscina.
Angelini, neurologo di Padova, ha, poi, parlato dei soggetti affetti da malattie muscolari che si recano in montagna, dando alcune indicazioni.
E’ seguita la relazione del Prof. G.F. Parati direttore della scuola di specializzazione in cardiologia dell’università della Bicocca di Milano. Ha illustrato le variazioni cui va incontro la pressione arteriosa in coloro che salgono in quota. La pressione arteriosa di solita aumenta salendo in quota. L’incremento maggiore si verifica nel corso della notte. Si verifica un’attivazione simpatica che la fa aumentare. Una ridotta riserva coronarica si slatentizza salendo in quota. Si verificano pure alterazioni della contrattilità cardiaca. Si evidenzia una ridotta funzionalità delle fibre sub-endocardiche. I pazienti in terapia con anticoagulanti non dovrebbero salire in quota. In quota, infatti, la coagulazione é accelerata. I soggetti ipertesi che salgono in quota devono assumere regolarmente la terapia che protegge dai fenomeni ipertensivi.
Catuzzo, cardiologa dell’ospedale di Aosta, ha parlato della morte improvvisa e delle sindromi coronariche in quota. Pochi sono gli studi effettuati sui cardiopatici in quota.
Cogo, pneumologa di Ferrara, ha parlato del polmone in quota. Il “respiro yoga” é il più efficiente in montagna. Occorre fare attenzione al “pattern respiratorio”. Il movimento del respiro deve essere coordinato e, quindi, efficace. La risposta respiratoria all’ipossia si trova sempre a metà, su una cresta, in equilibrio tra fisiologia e patologia. Il grado di suscettibilità all’edema polmonare d’alta quota è individuale, cioé soggettivo.
Da Porto, pneumologo di Lucca, ha, poi, parlato delle patologie respiratorie in montagna, dando alcune indicazioni.
Picano del C.n.r. di Pisa ha descritto il “progetto Echo out door” .
Giardini, presidente della S.I.Me.M., ha parlato delle malattie neurologiche in quota. Per esempio i soggetti affetti da epilessia in range terapeutico non dovrebbero superare i 5000 metri di quota. Parere positivo per la salita del Monte Bianco, ma no al trekking del campo base dell’Everest. I soggetti con anamnesi positiva per TIA o Ictus senza disabilità con fattori di rischio sotto controllo possono andare in quota, facendo attenzione a coloro che sono in terapia anticoagulante, che non dovrebbero salire in altitudine.
Veratti medico-fisiologo dell’università di Chieti ha parlato della fisiopatologia del rene in quota, descrivendo la risposta alla quota di quest’organo. Il rene é uno degli organi più importanti per l’acclimatamento. E’ un organo molto sensibile alla carenza di ossigeno. Salendo in alto si assiste ad una riduzione della funzionalità renale, con disidratazione e ritenzione di liquidi. Occorre bere sostanze isotoniche.
Il nefrologo Di Liberato di Chieti ha parlato delle patologie renali in quota. Non esistono molti dati in letteratura circa i nefropatici che vanno in montagna. Vi sono elevati fattori di rischio cardio-vascolare. La presenza di una proteinuria rappresenta un fattore aggravante per il nefropatico.
Il congresso si è concluso con la lettura magistrale del fisiologo P. Cerretelli riguardante la storia della ricerca nella medicina di montagna e con un altro interessante intervento del medico alpinista svizzero di Zurigo Osvald Oelz dal titolo “History and personal experiences”. Oelz ha raccontato la sua lunga esperienza di medico di montagna e di grande alpinista. I due colleghi hanno quindi ricevuto in segno di riconoscimento il Premio Società Italiana di Medicina di Montagna 2016
Un sentito ringraziamento al dottor Agazzi per questo puntuale e dettagliato resoconto delle due giornate del XVIII congresso nazionale
Complimenti vivissimi al Dr. Agazzi per la splendida opportunità, francamente consolatoria, per chi come me non ha potuto partecipare. Grazie infinite ed un cordiale saluto, Giuseppe Merlati
Ciao, grazie molte dell’articolo, l’ho letto con attenzione e mi è piaciuto.